Genocidio armeno, per non dimenticare

“La notte tra il 23 e il 24 Aprile 1915 vennero eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli. L’operazione continuò l’indomani e nei giorni seguenti. In un solo mese, più di mille intellettuali armeni, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento furono deportati verso l’interno dell’ Anatolia e massacrati lungo la strada. Iniziò così il Medz Yeghern, o il Grande Male” 
(Tratto dallo spettacolo “Come Polvere sul Tavolo”).

Il 24 Aprile 1915, non si può dimenticare e nemmeno nascondere.
E’ la data del primo genocidio di massa della storia moderna.
Un genocidio che colpì il 70% della popolazione armena.
Un genocidio che tutt’oggi non viene riconosciuto, anzi taciuto, dallo stato responsabile di questa assurda pagina di storia, la Turchia.
Un gruppo di nazionalisti turchi, i “giovani turchi”, deportarono attraverso le cosiddette “marce della morte” più di 1.200.000 armeni (uomini, donne, bambini, anziani). Durante queste marce, il popolo armeno venne massacrato, le donne e le bambine violentate e lasciate in mano a gruppi di predoni curdi che attaccavano liberamente questa carovana composta da dei “morti viventi”.
Queste marce furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco in collegamento con l’esercito turco, secondo le alleanze ancora valide tra Germania e Impero ottomano (e oggi con la Turchia) e si possono considerare come “prova generale” ante litteram delle più note marce della morte perpetrate dai nazisti ai danni dei deportati nei propri lager durante la seconda guerra mondiale.

Quando sentiamo i fatti avvenuti durante la seconda guerra mondiale, proviamo ribrezzo per quello che ha subito il popolo ebreo.
Dobbiamo però ricordarci che nel 1915, lo stesso trattamento, se non addirittura in maniera più brutale (difficile lo so a credersi) lo subì il popolo armeno.

“- Quale è la mia colpa? Perché mi fate questo? Perché avete ammazzato mio fratello, mio padre, mia madre? Perché mi fate questo?
– Perché sei nato, dove sei nato.” 
Tratto dallo spettacolo “Come Polvere sul Tavolo”.

Questa è stata la colpa del popolo armeno, non per qualcosa che avevano fatto, ma perché erano nati dove erano nati.

Una triste pagina della storia, che vuole essere dimentica, che vuole essere nascosta, che non vuole essere riconosciuta.
Sta a noi, non permettere che ciò accada.

Non possiamo, e non dobbiamo dimenticare.
Non dobbiamo nascondere la verità.
Non dobbiamo nascondere il male che è in grado di fare l’uomo.

Genocidio è una parola moderna, lo sapevate? Voglio dire, è recente. E’ composta da una parola greca che vuol dire razza, popolo, e una latina che vuol dire uccidere. Uccidere un popolo. E’ stata creata nel 1944 da un giurista polacco di origini ebree, che cercando una nuova parola per poter descrivere l’olocausto degli ebrei, la trovò pensando proprio a quello che era successo agli armeni. E rientra tra i crimini contro l’umanità. Il genocidio armeno, ve l’ho già detto, è forse il genocidio più contestato: sono passati poco più di cento anni ormai, e la Turchia ancora non lo riconosce.

Vi racconto anche un aneddoto successo prima della messa in scena dello spettacolo, della prima dello spettacolo teatrale “Come polvere sul tavolo”, uno spettacolo scritto e diretto da Simone Toffanin, prodotto dall’impresa teatrale CAST, con Simone Tonfani, Daniele Ferrari e musiche di Aram Ipekdjian.
Prima di andare in scena, il 24 aprile 2015, arrivò da noi l’assessore alla cultura del comune che aveva ospitato questo spettacolo teatrale.
Pensavamo al classico augurio di rito prima di andare in scena… ed invece… ci avvisa che era arrivata una lettera dall’ambasciata turca che ci chiedeva di non andare in scena… in quanto per loro non è “mai esistito il genocidio armeno”.
E’ stata una situazione surreale, che abbiamo affrontato… come nel classico dei casi, siamo andati in scena lo stesso.



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